Non è facilmente individuabile l'"identità" sportiva giapponese, in quanto due attività ludiche si contendono gli onori della ribalta: il baseball e il sumo. Sebbene io non riesca ancora a capire come abbiano fatto i giapponesi ad appassionarsi così TANTO ad uno sport di provenienza straniera, il baseball vanta senza dubbio il maggior numero di praticanti. A dispetto di ciò, lo sport nazionale è il sumo.


Le origini del sumo datano 1500 anni fa, perdendosi addirittura nella mitologia. Infatti, secondo le leggende, la nascita della razza giapponese è derivata dalla vittoria del dio Take-mikazuchi su un rivale proprio in un match di sumo. Per tornare coi piedi per terra, le vere origini sono religiose: i match erano parte di un rituale teso a ingraziarsi gli dei per avere un raccolto abbondante. Questo riti comprendevano anche danze sacre e rappresentazioni, tenute all'interno dei templi. Successivamente, durante il Periodo Nara - 8° secolo - il sumo venne introdotto nelle cerimonie della corte imperiale. In questi primi tempi si combinavano tecniche di boxe e di lotta libera, con pochissime mosse proibite. Sotto il continuo patronato dell'Imperatore vennero però formulate regole, favorendo anche lo sviluppo di tecniche ben definite, dando vita ad una forma di sumo molto vicina a quella attuale.


L'area di lotta è il dohyo, la cui rappresentazione vedete qui sotto. Il suo interno è formato da argilla compressa ed è delimitato da semplici balle di paglia di riso. Anche le regole che i rikishi (i lottatori) devono seguire sono altrettanto semplici: il primo atleta che mette un piede o un'altra parte del corpo fuori dal ring, oppure tocca terra all'interno del ring con una qualsiasi parte del corpo che non siano le piante dei piedi, perde. Non esistono classi di peso: i lottatori più leggeri cercano di superare questo svantaggio sfruttando le maggiori velocità e agilità. Questo in teoria, siccome raramente hanno più di qualche secondo prima di essere catapultati fuori dal ring, come m'è capitato di vedere personalmente. I lottatori alle prime armi appartengono alla "classe" dei jonokuchi, mentre al vertice della piramide ci sono gli yokozuna.


Prima di salire sul ring, per purificare la mente e il corpo gli atleti sciacquano la bocca con acqua, e si puliscono il corpo con una salvietta, anch'essa imbevuta d'acqua. All'interno del ring i lottatori si presentano con un movimento chiamato shiko: sollevano ciascuna gamba, lateralmente, ad altezza della vita e la abbassano con un colpo vigoroso (questo movimento si dice faccia fuggire gli spiriti maligni vaganti). Fatto questo ciascun rikishi lancia in aria del sale per purificare il ring dalla sconfitta del match precedente e per "assicurasi" da ferite e traumi (un altra maniera per essere scaramantici). L'atto di lanciare manciate di sale è comunque appannaggio dei lottatori di rango più elevato.


Una volta esauriti i preliminari si potrebbe pensare che il combattimento abbia inizio subito, invece non è così. I rikishi si fronteggiano l'un l'altro al centro del ring. Sono piegati sulle ginocchia, appongiando le mani chiuse a pugno per terra, e si fissano intensamente. E' una specie di guerra psicologica, intervallata da altre manate di riso purificatore, per poi ritornare a squadrarsi minacciosamente (questo rituale si chiama shikiri). Questo va avanti di solito per tutti e 4 i minuti concessi dal regolamento, per poi cominciare il match vero e proprio. Anche in questo caso, i lottatori di rango più basso hanno delle "penalizzazioni", in quanto il tempo a loro disposizione varia dai 3 minuti a niente del tutto! In origine non c'era alcun limite di tempo, ma si poteva andare avanti indefinitamente. Grazie al cielo, nel 1928 è stato introdotto un termine di 10 minuti, ridotti progressivamente agli attuali 4.

Un'altra cerimonia suggestiva è eseguita dallo yokozuna dopo essere salito sul ring: essa si chiama dohyo-iri. Dopo aver battuto le mani per attirare l'attenzione degli spiriti, stende le braccia all'infuori, mostrando le palme aperte, per far vedere che non nasconde armi. Poi, all'apice della cerimonia, esegue lo shiko, di cui detto prima. Quando l'altro yokozuna entra nel ring, anch'egli celebra questa cerimonia.

Quella specie di perizoma di pesante seta che i rikishi indossano è chiamato mawashi. E' ripiegato su se stesso 6 volte per poi passare attorno al corpo dalle 4 alle 7 volte: dipende dalla stazza del lottatore. E' l'unico indumento che possono indossare, e si dice che esso stesso abbia influito sull'intera genesi del sumo. E' altresi fondamentale per la vittoria, in quanto ci sono ben 70 "trucchi" per far volare fuori dal ring l'avversario usando tecniche di proiezione che si basano su prese del perizoma. Le stringhe che si vedono penzolare sul davanti del mawashi sono puramente ornamentali, e capita spesso che durante il combattimento si stacchino e volino via.


Ultime curiosità: il rango del lottatore determina in che modo i suoi capelli possano essere acconciati. Ovviamente maggiore è il rango, più elaborata è l'acconciatura. La foggia nella quale vengono sistemati i capelli è la stessa del Periodo Edo, ma non è stata conservata così solo per la tradizione, ma per un motivo alquanto pratico: in caso di caduta serve ad attutire il colpo alla testa. Non c'è mai un pareggio: 5 giudici siedono ai lati del dohyo (di solito sono ex-yokozuna) per decidere qualora l'arbitro sul ring non abbia sufficienti elementi.

Il sumo, sebbene affondi le radici nella tradizione, ha anche un aspetto professionistico. Delle centinaia di lottatori pochi diventano famosi e gli atteggiamenti occidentali di idolatria dei campioni sportivi sta facendo breccia anche in questo caso. Gli yokozuna possiedono un alto rango sociale, l'attenzione dei media e ricchezze equivalenti a quelle delle star di Hollywood. Sono trattati col rispetto e la deferenza normalmente accordata solo ai reali (!). Hanno club di fan, sponsor danarosi e - si dice - godano dei favori di belle donne: sembra che le loro rotondità sia un richiamo irresistibile. Sarà....

A tale proposito: la stazza dei lottatori non è un fatto innato, bensì viene "coltivata" con amore fin dall'inizio della carriera. Per assumere tali eroiche proporzioni gli atleti ingurgitano quantità industriali di riso e chanko-nabe, uno stufato a base di pesce, carne e verdura. Di per sè non è ricco di grassi, tutt'altro, ma per mandarlo giù bevono oceani di sakè e birra. Tutto allora si spiega!

Alcuni brani sono traduzioni di
www.sas.upenn.edu/~gregoryr/sumorules.htm
www.wnn.or.jp/wnn-t/nyumon/beginner/nyumon.html