Il samurai portava di solito due spade: quella più lunga era la katana (da 60 cm. a circa un metro), mentre quella più piccola si chiamava wakizashi: assieme formavano la combinazione dai-sho (letteralmente, "grande-piccolo"). Nessuno, eccetto i samurai e qualche ricco mercante, era autorizzato a portare la dai-sho: quelli che ignoravano la legge venivano condannati a morte.

Per il samurai la katana non era solo una spada, bensì il simbolo tangibile sel suo onore: egli la investiva di potere spirituale e il suo uso era accompagnato da un rituale elaborato. Per fare un giuramento vincolante, il samurai giurava sulla sua spada. Le spade utilizzate in molte battaglie divenivano oggetti di venerazione e passavano da padre in figlio come segno di lealtà. La spada accompagnava tutta la vita del samurai: alla sua nascita, veniva posta accanto alla sua culla, e una volta morto, veniva adagiata accanto alla sua salma.

Per l'anima principale della lama, il fabbricante utilizzava un acciaio laminato dolce, flessibile ma robusto. L'esterno era una combinazione di acciai duri battuti insieme, ripiegati e battuti nuovamente, e così via per molte volte. Questa tecnica creava una pellicola sulla lama interna, composta da diversi strati di acciai di diversa durezza, saldati assieme. La lama veniva poi ulteriormente indurita mediante successivi riscaldatamenti e raffreddamenti. Infine la si ricopriva tutta d'argilla, lasciando scoperto solo il tagliente. La lama in tal modo rivestita veniva riscaldata alla corretta temperatura e immersa in una vasca piena d'acqua fredda. In questo modo il tagliente diventava durissimo e dopo la molatura rimaneva affilato come un rasoio anche dopo un uso intensivo. La parte ricoperta dall'argilla si raffreddava più lentamente e conservava il perfetto grado di dolcezza e flessibilità necessario per dare "sensibilità" alla lama.

Per l'elevato significato spirituale attribuito alla katana di un samurai, il compito di fabbricarla assumeva una connotazione quasi mistica. Il fabbricante di spade - kaji - occupava un posto onorevole nella società e prima di potergli affidare il lavoro gli si chiedeva di sottoporsi ad un allenamento tanto spirituale quanto tecnico. Solo chi possedeva il cuore più puro e i più elevati sentimenti di moralità poteva diventare maestro fabbricante. Prima di iniziare il lavoro si sottoponeva ad una purificazione rituale e al digiuno; lavorava in abito bianco e conduceva una vita monacale.

L'uso delle spade però era quanto mai pratico e sanguinario. Erano dotate di lunghe impugnature per essere maneggiate con entrambe le mani. Una buona spada poteva facilmente mozzare un braccio, una gamba o una testa (era un colpo particolarmente ricercato in battaglia. La testa veniva presa come trofeo se la vittima aveva combattuto bene ed era di rango adeguatamente elevato. I samurai indossavano collari antidecapitazione e, in previsione di un'eventuale sconfitta, prima della battaglia bruciavano incenso negli elmi perchè le loro teste emanassero un buon odore). Le migliori katane potevano trapassare l'armatura e tagliare un uomo in due con un singolo colpo. Il maestro di spade oppure il samurai provavano una nuova spada su un cadavere o su un condannato a morte (già che c'era...). Sul corpo venivano provati colpi via via più difficili; ciascuno di essi aveva un nome e vi era pure un elenco di colpi in ordine crescente di difficoltà. Il più semplice era il "taglio della manica", cioè mozzare la mano all'altezza del polso; quello più difficile era il "paio di ruote", ovvero sezionare il corpo a metà con un colpo trasversale alle anche.

Sebbene la legge giapponese vieti assolutamente il possesso di katane col taglio "funzionante", pare gli oyabun (i boss mafiosi) le usino tutt'ora per sfide all'ultimo sangue. Non sarò certo io a verificarlo personalmente!