Per l'era preistorica della storia giapponese ci si riferisce all'epoca precedente l'introduzione del primo sistema di scrittura e della religione buddhista (nel 6° secolo d.C.). Dei primi colonizzatori, giunti 100.000 anni fa, si conosce molto poco: probabilmente non erano né gli avi dei giapponesi moderni - di origine mongola - nè degli Ainu, i primi nativi del Giappone. Questi, organizzati in tribù nomadi che vivevano di caccia, pesca e agricoltura, vagavano nelle zone centrali e settentrionali dell'arcipelago giapponese. Le ondate di invasori e aggressivi coloni provenienti dall'Asia li spinsero gradualmente verso nord (l'odierna isola dell'Hokkaido).

La più vicina era preistorica si può dividere in 3 periodi distinti. L'Era Jomon (10.000-300 a.C.) fu caratterizzata da lavori in ceramica (senza l'uso del tornio) e da tecniche artistiche piuttosto grossolane. Le popolazioni in quei tempi erano raccoglitrici e cacciatrici; vivevano in piccole comunità nell'Honshu centrale, veneravano la natura e come divinità avevano il sole e la luna.
Durante l'Era Yayoi (300 a.C.-300 d.C.) arrivarono artigiani e guerrieri provenienti dalla Corea e dalla Cina. Portavano con loro le pratiche dell'estrazione e della lavorazione dei metalli, tecniche di tessitura e la coltivazione del riso in piantagioni allagate. A loro volta queste genti assorbirono gli usi e la lingua delle popolazioni locali. Il Giappone si divise in una moltitudine di piccoli stati, alcuni dei quali retti da donne.
L'Era Kofun (300-700 d.C.) nacque dall'evoluzione dell'Era Yayoi in senso "militaristico": si sviluppò un'élite abile nel cavalcare e nell'uso delle armi. Una serie di lotte tra i clan cessò quando gli Yamato, dal 300 d.C. e per i successivi 250 anni, ottennero il graduale dominio sull'intero Giappone, grazie anche matrimoni, accordi politici e/o militari. Per la sepoltura dei capi di questo clan vennero eretti enormi tumuli chiamati kofun (da qui, appunto, il nome di quella Era). Altre caratteristiche importantissime furono l'introduzione del buddhismo e la crescente influenza della cultura cinese.

Con l'introduzione del buddhismo nel 6° secolo e l'uso dei caratteri cinesi per la scrittura, il Giappone entrò nel cosiddetto periodo classico (710-1185). In questi 5 secoli fu stabilita la prima capitale permanente a Nara, poi spostata a Heian-kyo (l'odierna Kyoto). Nel primo periodo di questa era l'influenza della cultura e degli ideali cinesi fu molto forte. Furono costruiti moltissimi templi buddhisti, ma verso il 10° secolo il giappone sviluppò un linguaggio e una cultura propri.
Nel 710 fu stabilita la prima capitale permanente a Nara, costruita sul modello di Ch'ang-an (Xian), la famosa capitale della dinastia cinese Tang. Nara, coi suoi edifici dipinti di rosso dai tetti verdi, divenne il centro della vita religiosa e di corte, assistendo parallelamente al grande incremento della costruzione di templi buddhisti. Il loro continuo aumento, al pari di quello dei monasteri, comportò una grande crescita del potere del clero. Per ovviare a questa situazione, nel 784 l'imperatore Kammu decise di trasferire la capitale a Heian-Kyo (Kyoto), destinata a diventare ancora più sfarzosa della precedente.

Tra il 794 e il 1156 il Giappone attraversò forse il più lungo periodo di pace, prosperità e fertilità culturale della sua storia. Una delle ragioni fu la rottura dei rapporti con l'oramai decaduta dinastia Tang (894 d.C.) e quindi lo sviluppo di una cultura propria.
Purtroppo, dopo circa 300 anni, la potente famiglia Fujiwara - sostenitrice tra l'altro dello spostamento della capitale a Kyoto - perse rapidamente la sua influenza a tutto vantaggio della casta dei militari. Intanto la famiglia imperiale e la corte si allontanarono progressivamente dagli affari dell paese, fino ad essere del tutto ignorati. La successiva guerra civile vide la vittoria del clan di Minamoto Yoritomo, che stabilì la capitale a Kamakura (lasciando la corte imperiale a Kyoto) e dando il via al governo militare, il cui capo era lo shogun (il primo fu ovviamente lui stesso), che avrebbe retto le sorti del Giappone per i successivi 700 anni.

Durante tale periodo la figura più affascinante fu senza dubbio il
samurai (letteralmente, "colui che serve"), legati al loro
daimyo (signori) dalla più assoluta fedeltà. La vita del samurai era semplice, scandita dall'osservanza del
bushido, l'arte del
guerriero. Vi erano tre distinte classi di samurai, in ordine decrescente di importanza: quelli che servivano lo shogun, quelli che servivano un daimyo ordinario e i
ronin. Questi ultimi erano coloro che avevavo perso il loro signore, vuoi perchè morto o perchè cacciati, e, privati in tal modo del loro onore, si erano trasformati in ladri, assassini a pagamento, mercenari. Ma non tutti i
ronin
si comportarono in modo disprezzabile.
I samurai non lavoravano e consideravano l'occuparsi di del denaro (come la casta più bassa, i commercianti) assai disonorevole. Erano sovvenzionati dalle tasse dei contadini, che sopportavano notevoli privazioni per mantenere la classe guerriera.

Dal 12° fino al 16° secolo il Giappone attraversò una fase di guerre civili quasi ininterrotte. Le battaglie erano combattute tra clan rivali alla ricerca del potere totale, o da imperatori che miravano non solo al potere spirituale ma anche a quello più prosaico. Questa sanguinosa fase della storia giapponese ebbe termine alla fine del 16° secolo, con la quasi riunificazione dell'intero territorio sotto il dominio di Oda Nobunaga. Di mentalità aperta (sotto il suo shogunato il commercio fu incoraggiato, al pari della poesia, della danza e delle altre arti; inoltre il cristianesimo divenne di moda), fu seguito da uno shogun che avversava queste intromissioni, Toyotomi Hideyoshi. Egli introdusse leggi che proibivano ai giapponesi di lasciare il paese e che riducevano l'ingresso di merci e genti straniere, rafforzando contemporaneamente i modelli di società feudale.

Dopo la morte di Hideyoshi avvenuta nel 1598, un altro acceso sostenitore della politica isolazionista gli successe, Tokugawa Ieyasu, che sposto anche la capitale da Kyoto a Edo (oggi Tokyo). Da qui la famiglia Tokugawa dominò il Giappone per i successivi 250 anni.
Ai daimyo locali venivano assegnati territori, dai quali riscuotere le tasse, direttamente dallo shogun. Naturalmente dietro giuramento di fedeltà! Il numero di uomini a loro disposizione, i tipi di fortificazioni dei castelli, e persino i contatti sociali erano oggetto di ispezione da parte di inviati degli shogun. Come ulteriore
sicurezza, questi mantenevano costantemente il controllo delle 3 più importanti città: Edo, Kyoto e Osaka, assegnando i territori circostanti a parenti stretti o alleati più che fidati.
Per prevenire qualsiasi fonte di guai dal clero buddhista e scintoista (il gruppo con maggior potere, dopo l'imperatore e i nobili), gli shogun lo suddivisero in sette individuali, a loro volta frazionate in unità separate. Non era tollerata nessuna collaborazione, né qualsiasi decisione collegiale; anzi, era attivamente incoraggiata una forte rivalità.
Il sistema di governo dei Tokugawa crollò a metà del 19° secolo. I samurai, indeboliti dalla mancanza di opportunità di battaglie, si diedero alle arti della cerimonia del te e della scrittura, perdendo gradualmente il controllo sul paese. Le spinte per una riapertura della società vennero da una nuova e florida classe di mercanti, fino a che, con la sconfitta nel 1868 ad opera delle armate imperiali, la famiglia Tokugawa riconsegnò nelle mani dell'imperatore il controllo della nazione, ponendo per sempre fine allo shogunato.

Nel corso dei suoi 44 anni di regno (1868-1912) l'imperatore Meiji trasformò il Giappone, da società isolata e prevalentemente agricola, in una nazione potente, con esercito e marina moderni, ferrovie, un parlamento e una solida base industriale. Ma agli inizi degli anni '30 accadde una tragica concomitanza di fattori: la crisi mondiale dell'economia portò ad un'impennata del nazionalismo, e all'economia nazionale occorrevano nuovi sbocchi sui mercati e nuove fonti di approvvigionamento di materie prime.
Le tensione sociali fecero accrescere a dismisura il potere dei militari, portando alla decisione di occupare la Manciuria (1931) e di invadere la Cina (1937). Contemporaneamente il Giappone si ritirò dalla Società delle Nazioni, mentre in patria il consenso popolare alla politica isolazionista aumentava. Nel 1940 fu firmato il Patto Tripartito assieme all'Italia e alla Germania e il 7 Dicembre 1941, dopo non aver ottenuto la neutralità statunitense, il Giappone lanciò il famoso attacco a Pearl Harbour. I primi anni di guerra arrisero alle forze del Sol Levante, ottenendo facili vittorie in India, nel Pacifico, e portando la guerra quasi in casa dell'Australia. Ma il punto di svolta ci fu con la battaglia delle Midway, la quale segnò il definitivo contrattacco statunitense. Per l'Agosto 1945 le forze imperiali erano state ricacciate da tutti i fronti, ma la resa incondizionata (richiesta dagli alleati con la Dichiarazione di Potsdam del Luglio 1945) fu firmata solo in seguito alla detonazione di 2 ordigni nucleari: il 6 Agosto a Hiroshima e il 9 a Nagasaki.

L'occupazione militare alleata durò fino al 1952, data nella quale fu redatta la prima costituzione democratica del paese. In tal modo il Giappone riacquistava la sua indipendenza. Da quel momento in poi l'ascesa dell'economia, in un primo tempo aiutata dai sovvenzionamenti degli Alleati, parve inarrestabile. La mentalità dei lavoratori - fedeltà e attaccamento alla ditta, la quale in cambio garantiva il posto a vita - portò ben presto il Giappone a raggiungere l'eccellenza specie nei settori ad alta tecnologia. Il lato oscuro della società non tardò anch'esso a manifestarsi: le morti per
karoshi (il superlavoro) aumentarono progressivamente, e anche l'eccessivo conformismo, la mancanza di voglia di cambiare lo status-quo contribuirono allo "scoppio" della bolla.
L'incredibilmente rampante economia giapponese si basava in realtà su piedi d'argilla: per ottenere prestiti, le aziende davano in garanzia alle banche i terreni di loro proprietà (in Giappone il costo al metro quadro del terreno edificabile è il più alto del mondo). Il problema fu che nessuno in realtà avrebbe mai comprato i terreni dati in garanzia, permettendo in tal modo alle industrie di rientrare dai debiti contratti; quando le banche lo capirono, e chiesero indietro i loro soldi, provocarono una valanga di fallimenti. L'economia-bolla, la "bubble-kaizen", era scoppiata; si era nei primissimi anni '90. Come se non bastasse, il Partito Liberale Democratico, alpotere da 38 anni (una specie di DC giapponese), nel 1993 fu travolto da una serie ininterrotta di scandali relativi a tangenti, sprechi, affari molto poco chiari. Nel 1995 il terremoto "Great Hanshin" colpì la città di Kobe, provocando 5.000 vittime e svelando all'opinione pubblica l'inadeguatezza delle costruzioni più vecchie e l'impreparazione delle autorità di pubblica sicurezza. Dopo un paio di mesi, nella metropolitana di Tokyo, membri di una setta millenaria liberarono gas sarin, scuotendo ancora una volta quel po' di fiducia rimasta della gente nel governo e nella sicurezza che avrebbe dovuto fornire ai cittadini.
Gli ultimi anni sono stati meno cruenti ma non per questo meno problematici: nonostante alcuni segnali di ripresa, il governo è stato costretto a lanciare una dozzina di piani di incentivazione dell'economia, pompandoci trilioni di yen, senza però risultati apparenti. La domanda di interna di beni non sembra voler riprendere quota (d'altro canto, è difficile suscitare la voglia di shopping in una popolazione che ha già tutto), nel 1998 il governo si è dovuto far carico di una notevole parte dei crediti inesigibili delle banche per evitare un altro tracollo di questo settore. Insomma, il Giappone S.p.A. sembra essere ancora lontano anni luce dagli sfarzi consumistici degli anni '80. Forse non si ritornerà mai su quei livelli, ma in fondo sarebbe solo un vantaggio: l'economia (e con essa, la società) giapponese deve riprendere vigore poggiando su basi solide e durature.
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