Buraku è una parola che significa villaggio o piccolo agglomerato rurale. Acquistò una seconda e più sinistra connotazione nell'Era Meiji (1868 - 1912), quando si cominciò ad usare la locuzione “Tokushu Buraku” (villaggi speciali) per indicare le comunità dove vivevano i senzacasta. Da buraku quindi deriva il termine burakumin (min è un suffisso che indica le persone). Altri "gradevoli" sinonimi comprendevano (purtroppo ancora in uso oggi) parole come senmin (gente disprezzata), hinin (non-persone) o eta (letteralmente, quelli molto sporchi).

Queste persone non sono una minoranza razziale, non sono identificabili per qualche particolare fisico, affatto: sono di razza giapponese come tutte le altre persone, ma discendono da coloro che in passato appartenevano alla 4° e più bassa casta sociale. Di essa facevano parte gli addetti alla macellazione degli animali, chi uccideva i condannati a morte, i conciatori di pelle, i piccoli agricoltori: queste occupazioni venivano considerate come "lavori inquinanti", anche secondo i dettami dello shintoismo e del buddhismo. Dovevano vivere fisicamente separati dal resto della popolazione, spessissimo in posti molto insalubri, come le paludi, e non potevano neppure vestire nella maniera che più aggradava loro. Gli heimin (la gente "normale") non potevano toccarli e tantomeno sposarne uno.


Questa 4° casta fu creata ad hoc dal governo nel 17 secolo. A quel tempo c'erano numerosissime rivolte popolari, date le rigide condizioni di vita della gente comune, paragonate a quelle molto più confortevoli dei samurai, ad esempio. Per chetare le acque si pensò di applicare quello che i romani chiamavano "dividi et impera", creando una ulteriore classe sociale sulla quale il popolino potesse sfogare tranquillamente i suoi malumori. E il sistema funzionò alla perfezione.

La discriminazione sui burakumin si applicava persino dopo la morte: questa volta a metterla in opera erano i preti buddhisti (va beh, criticare le religioni per la loro connaturata intolleranza per il diverso è un po' come sparare sulla Croce Rossa...). Sulla lapide del defunto veniva inciso il suo nome, in segno di venerazione, e lo stesso veniva trascritto su registri tenuti presso i locali templi. Sulle lapidi dei burakumin si "scoprì" che moltissimi preti avevano aggiunto ingiurie tipo umile, servo, bestia, ignobile, e così via. Come se non bastasse, i templi che sorgevano nelle areee dei burakumin venivano classificati come "impuri" (eta-dera) e non potevano intrattenere alcuna relazione coi quelli situati in aree "normali". Per calmarli ed esercitare un controllo sulle loro vite ancora maggiore, i monaci insegnavano ai burakumin che la loro travagliatissima esistenza era dovuta al loro karma, e che dovevano dimostrare la pazienza di sopportare quietamente la loro condizione al fine di otteenere benefici nella loro prossima reincarnazione.

Ovviamente ai burakumin, date le precarie condizioni economiche, veniva negato l'accesso all'istruzione e quindi a qualsiasi metodo per migliorare la propria condizione sociale. Uno degli effetti fu quello di far risiedere i burakumin sempre negli stessi posti, sia per poter contare sull'aiuto di parenti e amici (l'unico tipo di aiuto che avrebbero potuto sperare di trovare) sia per il divieto imposto loro di spostarsi (sebbene nell'era Meiji furono rovesciate le restrizioni sui movimenti promulgate nell'era Edo, per queste persone non cambiò nulla). Questo insieme di cose portò alla loro ghettizzazione più o meno forzata, a tutto vantaggio del governo che aveva messo in moto un movimento segregazionista quasi senza sforzo.

Nel 1871 il governo promulgò l'"Editto di Emancipazione", che aboliva la quarta classe sociale; purtroppo fu solo una dichiarazione vuota di qualsiasi significato pratico, mentre più o meno apertamente la politica discriminatoria veniva portata avanti col sottinteso beneplacito delle autorità. Un lampante esempio fu la "scoperta" nel 1975 delle "Liste Buraku" (vi faccio notare: a più di un SECOLO di distanza dall'Editto...), contenenti ogni genere di informazioni sugli abitanti di quelle comunità. I maggiori acquirenti erano imprese private, comprese le più grandi compagnie del paese.


Secondo un censimento governativo, nel 1993 c'erano circa 1.2 milioni di burakumin, distribuiti in 4442 comunità sparse su tutto il territorio giapponese. Queste cifre si riferivano solo alle aree classificate "ufficialmente" come distretti Dowa (il termine burocratico per indicare le aree dove vivono i burakumin). Le cifre ufficiose - quindi molto più probabilmente rispondenti al vero - arrivavano a contare 6000 comunità con oltre 3 milioni di persone (nella maggior parte concentrate nei distretti Kinki e Chugoku, nell'ovest).

Sebbene gli standard di vita dei burakumin siano sensibilmente più alti che in passato, rispetto a quelli delle altre persone sono tutt'ora più bassi. Oltretutto la discriminazione non dichiarata è ben viva e presente, specie nei matrimoni e nei lavori a cui queste persone possono accedere (in pratica, quelli peggio pagati, precari e pericolosi per la salute). Questo quando riescono a trovare lavoro; infatti il tasso di disoccupazione tra queste persone è estremamente più alto rispetto alla media nazionale. Questo porta (come in passato) all'impossibilità da parte delle famiglie di mandare i loro figli alle costose scuole pubbliche o private: secondo un'indagine della Lega per la Liberazione Buraku del 1982, nell'area di Osaka il 7,4% degli intervistati non aveva completato l'educazione primaria o non era neppure mai andato a scuola. Questo in rapporto allo 0,3% del censimento condotto 2 anni prima in tutto il Giappone: un tasso 24 volte maggiore.

La discriminazione, comunque, non si limita agli aspetti più eclatanti della vita di tutti i giorni. Sempre più frequentemente si vedono graffiti nelle stazioni ferroviarie, scuole, sotto i ponti o nei bagni, che incoraggiano la gente a praticare attivamente la discriminazione, scagliandosi aspramente contro i movimenti che invece si impegnano per farla cessare.


La Buraku Liberation League (BLL: Lega per la Liberazione Buraku) è una organizzazione formata da circa 200.000 burakumin, con 2.200 uffici sparsi per 39 prefetture. La Lega nacque nel 1922, sotto il nome di Suiheisha, ovvero the National Leveler's Association (circa, Associazione Nazionale di coloro che vogliono un cambiamento sociale): prima di questa data non c'era nessuno che denunciasse l'assurda discriminazione a cui erano soggetti i burakumin. Suiheisha bollò queste pratiche discriminatorie come un vero problema nazionale, domandandone a gran voce l'abolizione. Come primo, piccolo effetto, le persone gradualmente smisero di pronunciare in pubblico frasi offensive nei loro confronti.

L'azione di Suiheisha fece finire le aperte e pubbliche pratica discriminatorie nelle scuole e nelle forze armate. Ad esempio, denunciò la condanna inflitta ad un uomo della prefettura di Takamatsu che si era rifiutato di dichiararsi burakumin durante la proposta di matrimonio alla sua amata: un esempio lampante di discriminazione, che grazie alla campagna di sensibilizzazione portata avanti su scala nazionale si risolse a lieto fine. La corte infatti fu "convinta" (la pressione dell'opinione pubblica fa fare miracoli) a ribaltare il verdetto, assolvendo l'uomo.

Suiheisha portò avanti anche una campagna tesa alla costruzione di migliori abitazioni e infrastutture per i villaggi buraku. Questi sforzi si concretizzarono tra l'altro nell'apertura di centri di incontro per la popolazione e nella costruzione di bagni pubblici. Quasi in spregio dei risultati fino a quel momento raggiunti, con l'approssimarsi della 2° Guerra Mondiale il governo colse la palla al balzo per sciogliere l'associazione. Era in atto infatti la campagna di invasione dell'Asia e se la gente avesse pensato a temi "seccanti" come l'uguaglianza e fratellanza fra le genti, avrebbero potuto "disapprovare" la condotta oscenamente brutale delle forze armate imperiali. Fortunatamente l'associazione si potè ricostituire nel 1953, assumento l'attuale nome.

Contributo essenziale di:
www.blhrri.org/index_e.htm